Secondo stime approssimative, circa 80.000 indiani di religione Sikh vivrebbero in Italia, numeri in crescita come conseguenza dei ricongiungimenti familiari e dei giovani di seconda generazione. Molto laboriosa e dedita soprattutto alla cura dell’agricoltura e degli animali (nel Lazio una cospicua presenza si trova nelle campagne dell’agro romano, sfruttati come braccianti a basso costo), di indole disponibile ed incline all’integrazione, costituisce la seconda comunità in Unione Europea dopo la Gran Bretagna, e ne diverrà la prima dopo che questo Paese avrà attuato la Brexit.
Ogni anno – intorno alla metà di aprile, a seconda del momento in cui cade il primo giorno dell’anno solare indù in base all’antico calendario della festa della primavera – si ritrovano a migliaia, nelle città in cui vivono, per celebrare il Vaisakhi, una delle loro ricorrenze religiose più sentite e importanti, per ringraziare dei raccolti agricoli ottenuti e per celebrare l’anniversario della nascita del primo guru e fondatore della religione sikh Nanak Dev, vissuto tra il 1469 ed il 1539; originario dell’odierno Pakistan, fondò un credo religioso che si differenziava dalle religioni tradizionali della regione, basato su monoteismo, uguaglianza tra uomo e donna, superamento della divisione in caste, e che oggi ha il suo centro nel Punjab.
A Roma, il 23 aprile 2017 migliaia di Sikh (parola che deriva dal sanscrito e significa "discepolo”) si sono riuniti nel centro del quartiere Esquilino, storicamente il quartiere multietnico della Capitale; dopo aver attraversato le vie circostanti con una sfilata pacifica e colorata, sono confluiti in Piazza Vittorio, che è stata decorata con fiori ed ha ospitato il Nagar Kirtan, una processione con canti religiosi, preghiere e musica.
L’altare è stato allestito su un autocarro, addobbato di ghirlande e fiori, all’interno del quale è stato custodito il Libro sacro, mentre il Guru dispensa benedizioni e, tramite i suoi assistenti, frutta secca ai fedeli che ordinatamente lo omaggiano e lasciano offerte in denaro.
Una festa piena di petali di fiori, di profumi, suoni rituali e melodie sacre, barbe, turbanti (i tradizionali copricapo dei fedeli della religione sikh ) e veli dai colori vistosi, iniziando dall’arancione, che è la tinta caratteristica simbolo di questa fede, fino al blu, con innesti di giallo e bianco.
Si sono dimostrati molto ospitali, offrendo ai passanti frutta fresca e secca, succhi di frutta, caramelle e bevande fresche in segno di accoglienza e di servizio, purché anche gli ospiti rimangano senza scarpe dall’inizio alla fine, perché i piedi scalzi sono un segno di purezza, come vuole la tradizione. Durante tutta la cerimonia viene distribuito il cibo ai fedeli ed agli ospiti esterni che si vogliono aggregare, preparato al momento in una cucina approntata sotto una tenda.
I commensali mangiano seduti per terra, in fila, rigorosamente con le mani.
Al termine della festa, che dura diverse ore, il baldacchino, protetto dai sacerdoti guerrieri mentre inscenano coreografie di antiche arti marziali indiane, lascia la piazza, seguito soprattutto da donne e bambini che cantano cori sacri; spade, scimitarre e pugnali di cui sono dotati, resi comunque inoffensivi tramite l’eliminazione del filo tagliente, servono a dimostrare alla gente che i Sikh sono pronti a battersi per difendere la propria fede.